La prima multa per Facebook, legata al caso Cambridge Analytica, arriva dalla Gran Bretagna: una sanzione di 500.000 sterline, per aver violato i dati personali di oltre 87 milioni di utenti

Facebook dovrà pagare una maxi multa da mezzo milione di sterline (oltre 565mila euro) come conseguenza allo scandalo Cambridge Analytica che ha coinvolto il social network nel 2015 e che ha portato a una serie di eventi, coinvolgendo in prima persona anche Mark Zuckerberg, il CEO di Facebook.

La ICO (Information Commissioner’s Office), cioè l’autorità britannica sulla privacy, ha dichiarato di aver inflitto la massima sanzione prevista dalla sua legislazione per questo tipo di infrazioni anche per dare una scossa all’opinione pubblica e all’importanza che ha la protezione dei dati in un mondo sempre più digitalizzato come il nostro.

È importante infatti che gli utenti si rendano conto che i dati personali appartengono solo a loro e devono perciò averne il pieno controllo.

Facebook ha fatto dell’economia dei big data la sua economia, costruendo un impero sulla condivisione con aziende delle informazioni sugli utenti, al social viene contestato infatti di non aver protetto adeguatamente i dati degli utenti e di aver dato prova di scarsa trasparenza sul caso.

La sanzione arriva a monte di un lungo rapporto fatto dall’associazione consumatori norvegese, la Forbrukerrådet, nel quale emergeva come Facebook, nonostante l’effettiva entrata in vigore del GDPR, il Regolamento europeo sulla Protezione dei Dati, avesse sì modificato la sua privacy policy per rendere più trasparente l’uso che fa dei dati degli utenti ma che avesse manipolato le scelte sulla condivisione degli stessi. Un esempio lampante è quello del riconoscimento facciale per cui sono state espressi chiaramente i benefici di questa tecnologia, senza però menzionarne le criticità.

Intanto l’attenzione si sposta sull’utilizzo dei dati presi dalle aziende tramite Facebook per scopi di behavioral advertising e di marketing politico e cominciano a circolare voci circa la necessità di un codice di comportamento che eviti gli abusi e che garantisca che le elezioni abbiano uno svolgimento corretto. È assodato infatti che gli adv sul social abbiano considerevolmente influenzato le elezioni politiche negli USA e il risultato del referendum sulla Brexit. L’impatto del targeting pubblicitario attraverso questi canali è altissimo e il social pare non essere abbastanza trasparente circa la comunicazione fatta agli utenti su questo punto.

Proprio per questo negli USA il datagate è soggetto a un’indagine congiunta di Federal Trade Commission, dipartimenti di Giustizia e FBI: l’inchiesta ha il fine di verificare proprio la conformità della comunicazione pubblica fatta dall’azienda a utenti e azionisti.

Le associazioni di consumatori di Spagna, Portogallo, Belgio e Italia (con Altroconsumo) hanno fatto partire lo scorso aprile una class action contro il colosso social che punta a ricevere risarcimenti fino a 200€ per utente.